MA L’ALLENATORE E’ COSI DECISIVO?

Per anni ho studiato le carriere degli allenatori con un approccio per lo più basato sui numeri. Fino alla cessazione della pubblicazione dell’annuario statistico di Claudio Nassi “Tuttocalcio” avvenuta esattamente venti anni fa, mi sono occupato della stesura delle carriere dei tecnici che allenavano dalla serie A alla C 2 e degli scontri diretti tra gli stessi (fondamentale in tal senso era avere conoscenza della giornata di un eventuale esonero o subentro, per avere numeri rispondenti al massimo alla realtà). Facile in tal senso avere contabilità delle partite tra allenatori di serie A, ma non semplice era aggiornare gli scontri diretti tra tecnici che avevano allenato solo in C 2 che, all’epoca aveva quattro gironi che si univano ai due di C 1.

Lavoro entusiasmante fatto molti anni prima dell’avvento di internet che voleva regalare informazioni “di spessore” agli addetti ai lavori. Dallo studio dei numeri emergevano dei dettagli che potevano fare la differenza e anche consuetudini, nel senso che esistevano tipologie di allenatori per esempio molto bravi quando subentravano (ricordo tra questi Nando Veneranda) oppure altri che venivano esonerati quando partivano dall’inizio, o tecnici le cui squadre partivano molto bene a livello di risultati, per poi calare alla distanza e poi, tecnici le cui squadre maturavano pienamente nel girone di ritorno diventando imbattibili (ricordo le compagini guidate da Pino Caramanno) o ancora tecnici che pareggiavano molto (erano anche gli anni in cui il pareggio valeva un punto e la vittoria due punti, tra questi primeggiava Giancarlo Cade’).

Va da se che le prime informazioni che si potevano desumere erano quelle riguardanti le vittorie dei campionati (Giorgio Rumignani e Gigi Boccolini ne vinsero tanti) o le retrocessioni (Angelo Becchetti ne collezionò molte perché il più delle volte subentrava in situazioni disperate e non riusciva ad evitare la categoria inferiore). E quindi, fino a qualche anno fa conoscevo le carriere di tutti gli allenatori che avevano allenato dalla serie A alla serie D che aggiornavo ogni anno.
Spesso vedevo affidate panchine importanti a tecnici senza buoni palmares e mi facevo una serie di domande sui motivi per cui venivano ingaggiati e la cui risposta era da rivenire il più delle volte nella mancata competenza dei dirigenti che, magari, non avevano capacità di saper leggere le statistiche.

Venti anni che vivo il calcio dall’interno mi hanno consentito di dare spiegazioni ai numeri degli allenatori, ma la cosa più importante è che ho capito quanto sia nevralgico il ruolo che loro rivestono. L’allenatore è la persona a cui una società affida un progetto tecnico, che da puramente teorico, deve tramutarsi nella pratica. E’ il depositario finale delle idee e delle risorse che il responsabile dell’area tecnica e il settore scouting mettono a disposizione nell’allestimento della squadra.

L’errore nella scelta del tecnico può costare il dilapidare una stagione calcistica nella sua interezza e comportare per un team un bagno di sangue a livello economico, perché la società mette a disposizione conoscenze tecniche e risorse monetarie importanti, che non trovano una corrispondenza nella validità del tecnico che può risultare non all’altezza da un lato, o non è stato messo nella condizione di dare il massimo dall’altro.

Ma quale risulta l’errore più imperdonabile che oggi un allenatore può commettere? Non risiede nel disporre male una squadra in campo, o nel mettere i calciatori nel ruolo sbagliato, o nello scegliere un modulo non adeguato alle caratteristiche tecniche della squadra, che, comunque possono rappresentare sbagli non da poco.
L’errore più importante che un tecnico oggi può commettere è l’incapacità di comprendere i caratteri dei giocatori a disposizione, o meglio, nel non avere “empatia” e non riuscire ad entrare in sintonia con gli atleti da allenare. Per chiunque, avere un capo a cui non riconosci qualità a livello di conoscenza della materia o che non stimi a livello umano, comporta come immediata conseguenza l’impossibilità di dare il massimo, lavorando con il freno a mano tirato. Non dai il cento per cento, ma ti limiti al compitino.

I tempi sono cambiati e la presenza dei social ha mutato il modo di comunicare, dando un retaggio assoluto a situazioni che prima non venivano neanche prese in considerazione, per cui un tecnico oggi deve essere estremamente “moderno” ed aperto ad una serie di sollecitazioni che vanno portate a proprio favore.
Un buon dirigente non solo deve sforzarsi di costruire una squadra che possa essere in sintonia con le idee tattiche del tecnico, ma lo deve scegliere senza sbagliare l’aspetto umano, nella consapevolezza che abbia una “apertura mentale” importante, da rinvenire ovviamente in una cultura adeguata. Un buon allenatore non solo deve saper parlare bene, pena la possibilità di “passare” in tempi rapidi sui social se altera un congiuntivo o un condizionale, perdendo di credibilità, ma deve avere grande capacità di ascolto.

Sono cambiati i tempi del trattare umanamente tutti allo stesso modo, ma occorre avere linguaggi diversi rispetto a chi si ha di fronte ed un buon mister deve essere capace di adattarsi a chiunque sulla base dell’altrui cultura e sensibilità.
E quindi, per concludere, un buon tecnico deve essere un grande comunicatore nell’accezione più ampia del termine.