DANILO PAGNI, UN “GULLIVER” STUDIOSO DEL SISTEMA CALCIO

Danilo Pagni, classe ‘75, è un uomo di calcio a 360 gradi. Ha iniziato la sua breve carriera di calciatore nella sua Castrovillari, a soli 15 anni. A 21 ha appeso gli scarpini preferendo la scrivania al manto erboso. Poi non si è più fermato, perfezionandosi e affinando le sue conoscenze calcistiche al di fuori dal rettangolo di gioco. Tutto questo lo ha portato a ricoprire molti ruoli, partendo dalla dura gavetta del calcio di provincia per calcare, poi, palcoscenici più prestigiosi del calcio che conta tra i quali Milan, Chievo e Ternana, in veste di direttore sportivo e di talent scout. 

Un professionista profondo conoscitore del sistema. Per il tanto girovagare, in Italia ed all’estero, lo stesso Pagni si identifica come un “Gulliver” del calcio. Tra le tante le esperienze positive anche l’amarezza, nel presente, per un periodo “grigio”. Un ambiente, quello appunto del calcio, in cui, negli ultimi anni, si sono smarriti i valori della meritocrazia.  Noi dei “Graffi” non potevano farci sfuggire l’occasione, ghiotta, per raccogliere le sue sensazioni attuali.

Danilo, come e con quali stimoli ti sei avvicinato al mondo del calcio?

Sono nato a Castrovillari 46 anni fa. Essendo figlio d’arte il passo è stato breve. Mio padre Dante è stato, ai suoi tempi, un attaccante. Prima del Messina e poi del Livorno e poi anche allenatore negli anni ‘70. Ah dimenticavo! Ha avuto come allenatore anche il grande Armando Picchi, purtroppo prematuramente scomparso.

Sono arrivato presto in prima squadra nel Castrovillari, per volontà di mister Angelo Carrano, passando dai giovanissimi agli allievi nazionali. Proseguo la mia carriera di giovane calciatore nel Napoli dove i miei procuratori, Sommella e D’Alessio, mi portarono, credendo molto nelle mie capacità. Qui nel centro sportivo “Paradiso” di Soccavo, vengo folgorato dall’inaspettato incontro, se pur fugace, con il D10S Diego Armando Maradona. Diego si presentava ai nostri allenamenti con un borsone carico di di magliette e scarpini Puma da regalare, come in un sogno, a noi giovani allievi.

A soli 21 anni è iniziata la tua carriera di direttore sportivo. Con quali ambizioni e quali erano prospettive?

A vent’anni non me la passavo molto bene. Dopo un insieme di fugaci apparizioni nei campionati  dilettanti, mi avvicinai nuovamente al Castrovillari che militava appunto nel campionato dilettanti. Il presidente Agostino Caligiuri sapendomi in forte difficoltà volle aiutarmi e mi convocò nella sua azienda, assumendomi  come fac-totum della squadra. Oltre ad accompagnare i calciatori, però, mi impegnai molto per il raggiungimento dei play-out che riuscimmo a vincere a Battipaglia. Di li in poi il Presidente, avendo individuato in me una predisposizione alla ricerca, all’elaborazione dei data base, alla formulazione di strategie, mi dissuase dal continuare a giocare a calcio e mi indirizzò verso la professione di direttore sportivo. 

Dalla serie C di Castrovillari, in giro per l’Italia hai dato inizio anche alla collezione di vittorie e amarcord…

Cominciai ad affinare le mie abilità andando in giro per tutte le piazze del centro sud, attraverso le varie emittenti televisive e ritagli di giornale, da mettere insieme per arricchire il mio bagaglio di conoscenze. Ero olora considerato un baby Moggi data la mia giovane età.

Venticinque anni di esperienza, di studi, di fatiche e di tante vittorie …una sorta di Gulliver. Qual’é il bagaglio che ti porti dietro?

Un bagaglio ampio, costellato di tanti successi. Ho vinto 3 coppe in serie C, otto campionati tra dilettanti e professionisti ed una “salvezza” miracolosa a Terni. Tra l’altro, in quella stagione, ho risolto 19 contratti senza scambi di giocatori, con importanti profitti e plusvalenze. Ho continuato con il Chievo ed il Milan collaborando nell’area tecnica, avendo ricoperto il ruolo di scouting. Questo mi ha dato l’opportunità di girare il mondo  alla ricerca di giovani talenti dai valori inespressi che è indispensabile intuire in anticipo.

 

Mi sento una sorta di Gulliver alla scoperta del mondo a scoprire modi diversi di intendere la vita ed anche ovviamente il calcio. Ho raccolto i miei dati e le mie ricerche ed esperienze in una dispensa-libro dal titolo “modus operandi vademecum dell’osservatore calcistico” , presentato all’Università del calcio a Coverciano e meritevole di numerosi premi. Si tratta di una guida semplice e dettagliata, dedicata a coloro che vogliono avvicinarsi a questa professione o semplicemente a chi volesse saperne di più sull’argomento.

A proposito delle differenze tra il calcio italiano e quello estero, secondo quello che hai verificato nei tuoi tanti viaggi, cosa cambia sostanzialmente?

In Italia, anche nel calcio, chi conta vuole restare attaccato alla sua poltrona, non rischiando di perderla con scelte azzardate. Nel nostro territorio non si investe nei giovani e neppure nelle infrastrutture. Nel resto dell’Europa ed in Sudamerica ho trovato una mentalità totalmente diversa. Si investe soprattutto nei giovani ed esiste più meritocrazia. I giovani e gli under, se sono davvero validi, vengono impiegati da subito, anche nelle grandi competizioni.

Nonostante i grandi risultati, le vittorie ed i successi conseguiti, ad un certo punto della tua vita giunge un periodo buio e di stasi. Cosa provi, nel presente, tra sensi di colpa, rimorsi e rimpianti?

Si, effettivamente è arrivato un periodo grigio, che però ho usato come “anno sabbatico”, sebbene si sia trattato di più anni, in realtà. Dopo aver trascorso 8 anni di fila in tante squadre diverse è venuta a mancare la continuità e questo non va bene per il raggiungimento di buoni risultati lavorativi. Mi sono dedicato alla riflessione e allo studio, perché, come sosteneva Socrate nella sua Apologia : “una vita senza ricerca, non vale la pena di essere vissuta.”

Per quel che riguarda le emozioni provate in questo periodo sono come un foglio bianco, non ho mai fatto favori, a nessuno, quindi nessuno deve disobbligarsi con me. Mi sento un battitore libero. Per quel che riguarda i sensi di colpa, probabilmente non avrei dovuto credere nella meritocrazia,  come ho sempre fatto, avendone quindi pagato le conseguenze .Pensavo bastassero i risultati sportivi, tecnici e aziendali, per poter andare avanti.  Le esperienze negative mi hanno insegnato che avrei invece dovuto incrementare, con maggiore attenzione, qualche relazione importante. Quando sopraggiunge lo sconforto, la voglia di mettermi in discussione e la grandi motivazioni, mi danno la forza per andare avanti. Ma la forza più grande è rappresentata dalla mia famiglia e dalle persone che mi vogliono bene.

Cosa ti manca in questo periodo della tua vita?

Dato che il calcio è sempre stato una tradizione di famiglia, naturalmente mi mancano quelle sensazioni forti di apprensione e responsabilità. In definitiva mi manca l’adrenalina. Vorrei tornare a lavoro con un progetto ambizioso e una società importante. Ho sempre lavorato onestamente portando tanto rispetto nei confronti dei proprietari delle società d’appartenenza.

Mi considero un professionista da “bosco” come da “riviera” avendo offerto le mie competenze sia in società di potenzialità modeste, senza magari neanche una stanza per lavorare, sia in società super-lusso.

Ciò che più conta è quando il talento incontra l’occasione ed io, mi sento pronto per dare inizio a una nuova sfida. Vorrei tanto poter di nuovo scendere in campo per affrontare nuove sfide e sentire nuovamente volare le famose “ farfalle nello stomaco”.